Intervista | Massimo Castagna
Una carriera costellata di numerose collaborazioni con i più importanti marchi del design italiano e internazionale fa da sfondo alla sua personale capacità di cimentarsi nella direzione artistica di altrettanti brand di successo. Non mancano però le numerose esperienze nel campo dell’architettura, interior, consulenze, progettazione e altro ancora.
Con il suo studio ad architettura, ha lavorato in ambiti particolarmente diversificati dove ha saputo apporre la sua firma su progetti complessi ed eterogenei. Cosa ci può dire di questa attività? Che ideologia si nasconde dietro l’operato del suo studio?
Ho frequentato il Politecnico di Milano ai tempi in cui si facevano le mostre “Dal cucchiaio alla Città”, un contesto cioè dove il lavoro dell’architetto presentava una forte componente umanistica declinabile su scale diverse a seconda della necessità. Oggi la tendenza vigente porta a specializzarsi nei diversi ambiti e formare grandi team multidisciplinari per gestire progetti complessi. La matrice umanistica rimane però fondamentale nel nostro lavoro perché i concetti di abitare e vivere gli spazi non possono mai prescindere dalla componente umana; ne sono anzi indissolubilmente legati sia che si parli di interior, di architettura o product design. Nel mio lavoro ho quindi potuto spaziare in questi diversi ambiti perché ognuno fa capo al medesimo concetto legato alla persona, al modo cioè in cui ciascuno di noi vive i propri spazi e l’unità della casa intesa come un tutt’uno organico accomunato da stile e funzioni.
Ha lavorato su progetti residenziali di lusso in tutto il mondo, da Riyad a Shanghai, come è stato confrontarsi con culture così diverse?
In realtà ci sono meno differenze di quanto si creda. Esistono sì modi di vivere diversi a seconda della cultura e della specifica area geografica in cui ci si trova, così come diverse sono le richieste e gli specifici servizi che il cliente ricerca nelle figure dedicate alla costruzione, ma bene o male fa sempre tutto parte del medesimo ambito e concetto. Ciò che conta è l’approccio, ovvero il modo in cui ci si confronta con progetti di calibro diverso che necessariamente abbisognano di una grande versatilità oltre che di competenze trasversali. Parliamo qui di grandi case, di “lusso” e di realizzazioni importanti atti a formare un determinato tipo di mentalità internazionale, spendibile poi in tutti i campi. Qui da noi è difficile confrontarsi con progetti così importanti e costosi. In base alla mia esperienza posso dire di non aver riscontrato mai particolari difficoltà, anche con l’estero, perché il mondo riconosce e tiene in grande considerazione il Made in Italy. Pur mantenendo vive influenze e gusti diversi, è quindi lo stesso cliente che ricerca la nostra firma, il nostro modo di fare design e vivere la progettazione di interior. In poche parole, il nostro approccio riconosciuto e difficilmente replicabile.
Oltre che nell’interior, ha raggiunto risultati di eccellenza anche nel campo del product design. Cosa ci può dire di questo ambito?
Sostanzialmente anche qui vige il medesimo paradigma. C’è grande fiducia nelle competenze e nella tradizione artigianale italiana, patria del design e di quelle idee che hanno reso famoso il nostro marchio in tutto il mondo. Chiunque si affidi a noi lo fa perché ricerca il nostro stile e il nostro gusto. C’è grande fiducia e disponibilità al confronto, oltre che apertura verso il suggerimento. La formazione del gusto è quindi condivisa e fortemente collaborativa, frutto anche della capacità del designer di mostrare e far apprezzare l’eccellenza non come qualcosa di imposto, ma come un viaggio, un’esperienza dove al cliente spetta sempre la scelta finale.
Cosa vuol dire essere designer di prodotto ai giorni nostri? Come pensa si sia trasformata questa professione nel corso del tempo? Trova che l’approccio con le aziende sia in qualche modo mutato?
Il mondo del design è profondamente cambiato negli ultimi 20 anni, così come le aziende e le figure dei designer di prodotto. La figura del designer è molto legata all’evoluzione di un’azienda, non solo perché dar vita a un prodotto di per sé è molto difficile, ma anche perché il lavoro di creazione necessita sempre di grande collaborazione e interdipendenza, tanto che alla fine non è raro che le due figure diventino complici. Oggi più di allora questo rapporto è fondamentale, in quanto le aziende hanno sempre di più canalizzato le proprie forze nel dar vita a un proprio stile identificativo che le differenzi rispetto alle altre proposte di mercato. Il lavoro del designer consiste quindi nel ravvisare le esigenze dell’azienda e aiutarla in quello che sarà il suo sviluppo futuro, artistico e concettuale, dove ogni prodotto non sarà mai fine a sé stesso, ma un tassello di un progetto più complesso.
La trasformazione più grande nasce quindi proprio dalle aziende, che oggi si sono evolute da aziende di prodotto ad aziende di mood, volte a creare soluzioni differenziate per ogni stile.
Fra le sue numerose collaborazioni con aziende del design, quella con Gallotti&Radice si è rivelata una delle più longeve e proficue. Ci parli un po’ del suo processo creativo e dei diversi step che lo caratterizzano.
Tutto è cominciato in un momento storico che per Gallotti&Radice segnava un punto di svolta non solo produttivo, ma anche di identità aziendale. Essermi avvicinato proprio in quel momento e non solo, averne potuto far parte con il mio particolare contributo, è stato per me di grande stimolo. Proprio in quegli anni di fermento creativo l’azienda è passata dall’essere un esempio di eccellenza nella lavorazione del vetro a produttore di uno stile complessivo dove forte è la componente multimaterica.
Ci parli di qualche prodotto che ha disegnato per Gallotti& Radice. Quali ritiene siano i più caratterizzanti del marchio?
Uno dei capisaldi di Gallotti&Radice è il sistema di illuminazione Bolle, declinato in molteplici identità e derivazioni. La sua relativa semplicità ed eleganza l’hanno presto reso famoso in tutto il mondo, spalancando le porte delle case e risvegliando l’attenzione di molti verso la linea artistica del marchio.
Un secondo, ma non meno importante, elemento è rappresentato dai divani. Tradizionalmente Gallotti&Radice era leader nella produzione di complementi in vetro, per cui approcciarsi all’imbottito era un’impresa a dir poco ambiziosa, sebbene necessaria per poter cominciare a parlare seriamente di total design e stile diffuso per la casa. Il confronto sul mercato era ovviamente complesso, eppure pian piano l’azienda ha trovato il proprio passo, inserendosi fra le proposte dei marchi d’eccellenza. Parliamo qui del divano Audrey, oggi icona dello spazio living. La serie di lampade Bolle ha seguito il medesimo percorso, riscuotendo subito un successo commerciale notevole per poi trasformarsi nelle ultime collezioni da complemento a vera e propria installazione d’interni. Nelle grandi case è di questo che si sente il bisogno, non di piccole identità ma grandi installazioni che riempiano i volumi e gli spazi.
Tra i materiali con cui è abituato a lavorare ce n’è qualcuno che preferisce? A quali si è dedicato per la nuova collezione 2021?
Materiali e design dialogano da sempre fra loro, un intreccio inscindibile che nel tempo si è fatto sempre più stretto fino a divenire un tutt’uno. Molta di questa interdipendenza si evince nei due tavolini che ho creato per la collezione Gallotti&Radice 2021, Clemo e Monete. Il primo è basato sul ceppo di Grè, una pietra caratteristica del lago di Iseo, interessantissima perché rude e al tempo stesso molto “educata”. Non è troppo squillante, pur possedendo una fortissima personalità che le permette di vivere in ambienti molto diversificati. Inoltre è tipicamente italiana e milanese – moltissime facciate di Milano sono costituite proprio da questa pietra. Monete è invece un “giochino”, un piccolo esercizio scultorio creato da una serie di anelli metallici uniti fra loro con processi di brunitura a mano che crea elementi ogni volta diversi e sfumature uniche. Questa proposta è nata in maniera del tutto inaspettata, frutto di un ragionamento spontaneo che tuttavia ha subito trovato posto nelle proposte di catalogo della nuova collezione. Questa più di altre esalta il delicato equilibrio che Gallotti&Radice ha creato fra arredo maschile e femminile, dove ogni componente esprime una tendenza differente e finemente orchestrata. Personalmente credo che Monete e Clemo abbiano un animo leggermente più maschile, ideale innesto fra le armonie più femminee della nuova collezione.
In veste di art director si è avvicinato anche al mondo del retail di arredamento. Quale pensa che sia oggi il ruolo di uno showroom di design e cosa ritiene possa offrire in più ad un progettista?
Gli showroom di arredamento stanno da molti anni vivendo una profonda trasformazione. La pandemia ha accelerato questo fenomeno, trasformando lo store da semplice esposizione di “pezzi” a realtà di consulenza non solo per il cliente, ma anche per l’interior designer. In pratica, un partner attivo capace di parlare un po’ meno di mobili ed essere sempre più recettivo nel dare il proprio contributo.
Questa a parer mio è un’esigenza nata dal cliente, soprattutto quello estero. I mobili non sono secondari, non lo saranno mai, ma lo showroom deve comunque imparare a svolgere un ruolo diverso, divenendo progettista nei confronti del cliente finale e consulente per quanto riguarda l’interior designer, offrendo gli strumenti necessari per gestire determinate necessità.
In questi due anni di lavoro a distanza dove nessuno – che si parli di cliente, designer e altri ancora – ha potuto toccare e vivere in prima persona la progettazione, questo cambio di paradigma si è reso evidente. Ma questo è solo uno dei molti che seguiranno man mano che il mondo si renderà conto dei cambiamenti che sarà necessario e utile fare per poter ulteriormente migliorare il lavoro di tutti.
Parlando di stile, gusti e trend, come pensa sia cambiato questo mondo del design nel corso del tempo? Quale pensa sia la tendenza generale e cosa si aspetta di vedere nei prossimi anni?
In generale non parlerei più di trend, poiché le aziende d’arredo hanno da tempo cominciato a sviluppare un’identità propria, proponendo stili e personalità diverse su un mercato ogni giorno più attento e ricettivo nei confronti delle novità. La clientela si è divisa, frammentandosi in una molteplicità di proposte un tempo impensabili che presentano ognuna la propria personalità e percorsi distinti. Tutto oggi è molto più personale e meno codificato.
In questo senso, credo che il mondo stia diventando sempre più Rock. Mi spiego meglio. Oggi rispetto a ieri i clienti nazionali e internazionali sono più giovani, non solo come età ma anche come spirito. Hanno una cultura personale, una provenienza e un passato che li porta a essere più attivi e dinamici rispetto alle generazioni precedenti. Prendiamo ad esempio i Maneskin, un gruppo che qualche anno fa difficilmente avrebbe avuto la possibilità di poter vincere Sanremo, Eurovision e attestarsi come una delle band più ascoltate al mondo. Questo perché molto della mentalità e delle esigenze mondiali erano diverse. Ora qualcosa è cambiato. Tutti sembrano sentire la necessità di vivere una situazione meno formale, meno heritage, meno steccata ma molto più rilassante e divertita. Una situazione più Rock, insomma, che poco si sposa con situazioni e modi di vivere formali. Personalmente mi aspetto questo tipo di evoluzione, con ispirazioni diverse e meno ingessate. Non basta più proporre qualcosa di buono, ma deve essere “nuovo” e diverso. Bisogna che vada oltre.