Intervista al designer e architetto Marco Piva | Salvioni Design Solutions
Il tuo studio è una vera e propria multinazionale dell’architettura e dell’interior design, capace di realizzare ogni anno un gran numero di importanti progetti in tutto il mondo, dalle Americhe all’Estremo Oriente. Cosa comporta tutto questo a livello organizzativo?
Per essere competitivi a livello internazionale bisogna avere un’organizzazione molto precisa, in quanto ci si deve rapportare con Studi molto grandi, vere e proprie aziende.
In questo contesto di altissima competitività l’elemento che ci rende vincenti in determinati territori esteri è dato dal fatto che siamo in grado di dare un servizio di progettazione completo: non ci fermiamo al Concept o al preliminare ma, se richiesto, siamo in grado di seguire il progetto in tutte le sue fasi.
Dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Russia, al Middle East e alla Cina, ci si confronta con organizzazioni del lavoro diverse e complesse, ove diverse specifiche professionalità sono chiamate a contribuire ad un intenso lavoro di Team.
Attraverso la diversificazione delle esperienze ritengo che lo Studio Marco Piva abbia maturato negli anni una capacità di organizzazione fluida, con il valore aggiunto della flessibilità del progetto e la capacità di personalizzarlo in base alle esigenze del cliente, qualità tipicamente italiane universalmente riconosciute, che ci permettono di rientrare nella rosa delle multinazionali dell’architettura e dell’interior.
Lavorare in tutto il mondo comporta anche doversi confrontare con una miriade di culture diversissime tra loro, con il relativo carico di difficoltà e incomprensioni ma anche di arricchimento. Ci potresti raccontare qualche episodio emblematico a riguardo?
Conoscere realtà di sviluppo e di produzione del progetto profondamente diverse da quella italiana ci consente di valutare altri modi di interpretare e configurare i luoghi destinati ad accogliere le più diverse necessità abitative, turistiche, residenziali, lavorative, nel rispetto di una visione del Progetto “diversa”, ma al contempo integrabile a quella italiana portatrice di valori umanistici unici legati alla nostra cultura, alla nostra storia e alla nostra arte.
In un paese diverso dal nostro il processo progettuale, secondo la nostra filosofia, deve necessariamente partire dall’acquisizione e dalla metabolizzazione dello “spirito” dei luoghi nei quali si opera.
Il fatto di interfacciarci con culture così diverse con caratteristiche precise è per noi un arricchimento, cosi come lo è, quotidianamente, avere un team in Studio composto da persone provenienti da 17 nazionalità diverse.
Gli episodi più emblematici attualmente derivano dai due macro-territori della Cina e dell’India.
Per la Cina, dove alcune differenze culturali sono molto forti, abbiamo creato una dispensa di Studio, una sorta di vademecum del “Galateo Cinese”, che consegniamo ai nostri collaboratori che vi si devono recare per la prima volta. All’interno abbiamo raccolto alcune suggerimenti su come comportarsi e muoversi nel territorio, dal saluto alla tavola.
In India, complesso dal punto di vista del progetto è il confronto con il Vastu, la disciplina che regola l’architettura e gli interni. Una sfida impegnativa, alla quale adesso siamo preparati, ma l’inizio è stato davvero difficile.
Sempre in India, e anche su altri mercati in modo diverso, è importantissimo anche il tema della famiglia: ci sono delle attenzioni che si devono avere nei confronti delle “gerarchie famigliari”, anche nella distribuzione degli spazi e degli arredi, di cui si deve tener conto fin dalle primissime fasi della progettazione.
Come è cambiato il ruolo di un grande studio di architettura internazionale negli ultimi dieci anni? Si è modificato molto il modo di lavorare e il processo attraverso cui accedere a grandi progetti come quelli su cui spesso operate?
Mentre anni fa (anche 20), lo Studio di architettura era visto, forse in modo semplicistico, come meramente “creativo”, oggi la dimensione del progetto richiede di rispondere a tantissime esigenze, non solo in termini creativi.
Se nell’ambito privato questo aspetto è meno evidente, in quanto il dialogo avviene direttamente con l’utente finale, nei settori del Real Estate e dell’Hospitality che spesso fanno capo a fondi, con budget programmi e obbiettivi precisi, e una serie complessa di passaggi permissuali, amministrativi e finanziari, è determinante. Il cliente del progettista non coincide mai con il fruitore finale dell’opera, e questo comporta uno sforzo più intenso per individuare le esigenze di colui che usufruirà degli spazi, in accordo con tutti gli altri attori coinvolti nelle diverse fasi del progetto
E, secondo te, quali cambiamenti subirà il mondo dell’architettura a seguito degli ultimi eventi relativi al coronavirus? Cambierà in modo radicale oppure saranno necessari soltanto aggiustamenti passeggeri?
Sicuramente ci saranno dei cambiamenti: l’avvento della pandemia è stato un episodio che, come altri, ma in modo più violento, ci ha ricordato che bisogna prestare la massima attenzione nei confronti del territorio, degli ambienti del vivere e dell’abitare, così come nell’alimentazione e nella salute.
Il tema della sostenibilità, importante già prima, è ora sempre più evidente e rilevante all’interno delle esigenze del progetto.
Per quel che riguarda il tema della casa, dove ritengo che i cambiamenti saranno più radicali, a distanza di pochi mesi ci sono dei report che evidenziano come le esigenze delle persone si siano già spostate dalla “location” alla metratura: se prima si cercava una casa centrale, seppur piccola, ora grazie alle possibilità offerte dallo smartworking e alla necessità di poter vivere con maggiore flessibilità gli spazi della propria abitazione, la domanda si sta spostando verso zone meno centrali a vantaggio di una richiesta di maggiori metri quadri e soprattutto di spazi aperti.
Il tema dei balconi, dei terrazzi e dei giardini, acquisisce quindi una nuova importanza e deve essere affrontato da noi progettisti, non solo in termini privati, ma anche condominiali, come cortili, spazi comuni e tetti “abitabili”.
Molti ambienti che possono fare da filtro tra privato e pubblico devono essere ripensati, per rispondere alle nuove esigenze di spazi più flessibili, e quindi “diversamente vivibili”.
Per quanto riguarda gli ambienti dell’ospitalità, invece, già da anni lavoriamo per creare ambienti comuni fluidi e flessibili, quindi ritengo che, a fronte di qualche accorgimento, non ci saranno grandi variazioni, se non legate alla sicurezza e all’igiene degli spazi, e sempre più all’utilizzo degli spazi aperti.
Contemporaneamente assistiamo ad un’offerta nel mercato di alto standing di prodotti piccoli ed esclusivi dove la qualità del servizio fa la differenza, una sorta di residenze esclusive a metà tra l’hotel e la casa, con caratteristiche bespoke per l’ospite che le abiterà.
Lavorate molto spesso su progetti di lusso con committenze importanti, dove immaginiamo tu sia coadiuvato da un ampio team: in un contesto del genere, quanto spazio è lasciato al tuo estro artistico individuale?
C’è una forte volontà, da parte mia, di mantenere alto l’apporto creativo e, al contempo, di riuscire a fare ricerca sul progetto, lavorando sul concept, sulla location e sul mood progettuale.
La fase creativa è alla base del processo progettuale, ed è la parte che meglio mi permette di esprimere il mio estro artistico, quindi voglio che sia sempre salvaguardata, e anzi coltivata.
E’proprio sul tema del lusso che riusciamo ad esprimere al meglio quel “di più” italiano, legato al lifestyle nostrano e al concetto di progetto “tailor made”, cucito su misura, in cui prevale la sensazione di esclusività e personalizzazione.
L’obiettivo non è diventare predominanti col disegno rispetto al nostro cliente, ma riuscire a trovare un equilibrio tra le sue esigenze e la nostra cifra stilistica, per avere un progetto in cui anche il nostro cliente si riconosca.
Negli anni ’80 sei stato uno dei protagonisti della fortunata stagione del design radicale attraverso lo Studiodada, di cui eri uno dei membri di punta. Cosa ti ha lasciato quest’esperienza? Ci sono ancora nel tuo lavoro tracce di quell’estetica, apparentemente così lontana dai progetti attuali?
La stagione del radical design si ritiene conclusa alla fine degli anni ’80, ma a mio avviso è ancora presente. Per me è stato un periodo di grande sperimentazione, entusiasmo e felicità nell’immaginare nuovi oggetti, modi di vivere e di socializzare.
La mia visione era quella di ricominciare da zero, cercando di creare un nuovo mondo da basi semplici, da cui iniziare a creare una nuova espressività.
Dopo molti anni di attività professionale questa filosofia è ancora tracciabile in tutto il mio design, dalla grande scala dell’architettura a quelle più ridotte dell’interior e del product design.
Un campo in cui lo Studio Marco Piva ha accumulato notevole esperienza è quello dell’hotellerie di lusso. Qual è secondo te il segreto per disegnare un hotel di successo che sia apprezzato dalla clientela?
Disegnare un Hotel è tra i progetti più complessi, perché normalmente la proprietà è diversa dalla gestione, che a sua volta è diversa dalla clientela che ne usufruirà e dalle persone che vi lavoreranno all’interno.
Il progetto deve rispondere a determinati requisiti e tenere conto di tantissime componenti, da quelle economiche della proprietà, a quelle funzionali della gestione, fino a quelle estetiche/emozionali della clientela e logistico/operative degli operatori.
L’equilibrio di tutti questi elementi determina il successo del progetto.
Il “segreto”, se così si può dire, in quanto per me è una componente essenziale, è il rispetto del contesto e del luogo: un progetto su misura, con delle riflessioni dedicate al luogo, basato sulla ricerca di radici su cui fondare l’ipotesi progettuale.
A Matera, ad esempio, nel progetto La Suite, abbiamo giocato con colori scuri per permettere alla vista di risposarsi dopo una giornata intensa nella luce accecante dei sassi materani, nell’’Excelsior Hotel Gallia, a Milano, abbiamo fatto tantissimi riferimenti alla città, coniugando la sua storia al dinamismo contemporaneo. Nel Pantheon Iconic Hotel, a Roma, abbiamo riportato all’interno tantissimi riferimenti al celebre monumento.
Questi sono solo pochi esempi, che insieme rappresentano il modus operandi del nostro Studio, e che credo rappresentino il fattore di successo delle nostre opere.
Le nostre realtà hanno collaborato da diversi anni su molti progetti. A tuo giudizio, qual è oggi il ruolo del negozio di arredamento per un architetto o un interior designer? Cosa offre di utile e peculiare e cosa potrebbe offrire di più?
La collaborazione con Salvioni è molto importante per noi, negli anni siamo stati partner in tantissimi progetti, soprattutto nel settore delle residenze private, in Italia come all’estero.
Rispetto ad altre realtà, Salvioni offre un servizio completo, accompagnando il cliente, e il suo progettista, in tutte le scelte dall’inizio, e fino alla fine, che non corrisponde meramente alla “consegna”.
Infatti i clienti molto spesso continuano a rivolgersi a loro anche in seguito, per la loro capacità di fidelizzare il cliente.
Sia per la consulenza sul punto vendita, che per il montaggio e il post vendita, hanno personale preparato e qualificato, e per il nostro Studio è sinonimo di garanzia e affidabilità.
Lo showroom Salvioni di Milano per noi rappresenta una tappa importante dove portare i nostri clienti, perché racconta molto bene il concetto di “lifestyle italiano”, quindi a differenza di altri dove in realtà si vede solo un’esposizione di prodotti, Salvioni è riuscito a dare un’interpretazione di modi diversi di vivere la casa italiana.
Il setting piace molto ai clienti, che si immaginano la propria casa, e si riconoscono negli spazi suggeriti, tanto da diventare un appuntamento fisso ogni qualvolta che si trovano a Milano.
Questo credo sia il ruolo a cui deve rispondere oggi un negozio di arredamento: far percepire un’atmosfera, non solo “vendere mobili”.
La peculiarità di narrazione di Salvioni forse potrebbe essere resa più evidente: non solo in Showroom, ma anche sul sito piuttosto che creare una pubblicazione ad hoc dei diversi allestimenti realizzati da mandare ai professionisti con cui collaborano o ai loro clienti fidelizzati.
Ritengo sia un patrimonio di interpretazione del modo di vivere la casa, ed è un peccato che abbia solo un episodio estemporaneo all’interno dello Showroom.
A mio avviso ha un grande valore ed è un aspetto che potrebbe essere enfatizzato e prolungato nel tempo attraverso una pubblicazione dedicata.
Ph: Andrea Martiradonna