Intervista | Gaia Miacola architetto e interior designer
Gaia Miacola è architetto e interior designer, nota nel panorama web italiano per la qualità e quantità di contenuti che propone attraverso i vari canali social e blog dedicati. Affascinati dal suo lavoro e dall’insolita versatilità della sua comunicazione, le abbiamo chiesto di parlarci un po’ di sé e del suo modo di vivere il mondo dell’interior design “2.0”
Il tuo profilo Instagram è fonte d’ispirazione per chiunque desideri apprendere qualcosa e ricevere qualche buono spunto per la propria casa. Come ti rapporti con questo social network? Quanto credi sia importante l’attività su questa piattaforma?
Al momento Instagram non è il mio unico canale di comunicazione. Ho anche Facebook, un canale privato e ovviamente il mio Blog da cui indirizzo la diffusione dei miei contenuti web. Inizialmente mi servivo esclusivamente del Blog, ma in seguito ho sentito l’esigenza di aggiungere altri canali, fra cui Instagram in particolare, per avere un contatto più rapido e diretto con le persone. Instagram offre il grande vantaggio di poter comunicare per immagini, fondamentali nel mio settore non solo per esprimersi, ma anche per raggiungere più efficacemente l’immaginario dei clienti.
La scelta di utilizzare i social è stata per me sicuramente vincente, dato che partendo dall’avere una o due richieste di progetti al mese, ora mi ritrovo a gestirne oltre trenta o quaranta.
Parlaci del tuo blog. Per un architetto e interior designer è una scelta alquanto atipica per comunicare il proprio lavoro. Come mai hai pensato di appoggiarti a questo mezzo? Quanto incide sul tuo lavoro? Che approccio segui nella scelta dei temi da trattare e nella scrittura degli articoli? Fai tutto da sola o sei aiutata da una piccola redazione?
Scrivere delle mie passioni è sempre stato il mio sogno. Da piccola mi divertivo a fare dei piccoli Look Book, preambolo di un vero e proprio magazine. Al giorno d’oggi esistono molti strumenti per chi desidera fare informazione, così ho colto l’occasione aprendo questo canale per parlare del mio lavoro, dei miei progetti e del grande amore per l’interior design. Credo che la sua forza consista proprio nella passione che metto in ciò che faccio, essendo in effetti non un strumento di circostanza ma una naturale estensione del mio lavoro.
In realtà il blog non è altro che un diario d’ispirazione che utilizzo per entrare in contatto con persone nuove oltre a chi già mi segue per offrire loro soluzioni a problemi o più semplicemente buoni consigli.
Al momento faccio tutto da sola, scrivendo e gestendo la programmazione editoriale senza alcun supporto. Si tratta ovviamente di un grande sacrificio, ma in questi due anni e mezzo di attività ho saputo trarne anche molte soddisfazioni e sprone a continuare facendo sempre meglio.
In una precedente intervista hai affermato che fare l’architetto di interni nel sud Italia è molto diverso rispetto a farlo a Milano, così come è ancora differente esercitare la professione in qualche grande capitale europea. Quali sono le principali differenze? Ritieni che l’heritage della tua terra d’origine abbia avuto influenze anche nella formazione del tuo stile?
Personalmente non credo di aver mai trovato grandi differenze; in Italia come all’estero, un cliente è sempre tale. Diversa invece è la questione delle difficoltà legate alla distanza: più si è lontani, più è infatti difficile gestire efficacemente il lavoro. Per questo nel mio campo è importante pianificare fin dall’inizio le diverse fasi di progettazione, chiarendo con il cliente – soprattutto se distante – rischi e difficoltà di una gestione da remoto. Solo chiarendo questi punti è possibile svolgere un lavoro che soddisferà entrambi; viceversa non è il caso di dare inizio alla collaborazione.
Per mia esperienza non ho trovato molte resistenze su questo punto, sebbene ammetto che non rispecchi appieno il mio modo di lavorare. Per me è infatti molto importante esserci, seguire ogni passaggio e gestire personalmente le diverse fasi fino al progetto finito.
Un altro aspetto che ti caratterizza è l’altissima qualità dei tuoi render, dotati di un impressionante livello di fotorealismo. Qual è per te il ruolo di un render nella definizione di un progetto?
Personalmente ritengo sia importantissimo sia da parte del cliente, che dell’architetto. Tempo fa realizzavo cataloghi per grandi aziende di arredamento eseguendo per loro fotorealismo. Accorgendomi dell’enorme potenziale di questo strumento, ho in seguito deciso di introdurre anche nel progetto privato questa soluzione, offrendo al cliente uno strumento atto a fugare dubbi e indecisioni in poche semplici immagini. Chiunque lavori nel settore sa che un disegno o addirittura un render non fotorealistico non comunicano nulla e anzi diventano spesso motivo di fraintendimenti e indecisioni da parte del cliente.
Ciò che faccio io è semplice e diretto: basta uno sguardo per capire se il progetto va bene o meno, se i mobili sono quelli desiderati o se ancora le soluzioni scelte soddisfino o meno le aspettative.
Seguendo le tua attività, abbiamo notato che gran parte dei tuoi sforzi si concentra sulla creazione di un’armonia complessiva degli ambienti, dove ogni dettaglio strutturale è fondamentale. Quanto invece ritieni sia importante l’arredamento per la riuscita complessiva di un progetto?
In fase di progettazione faccio in modo che tutti i pezzi da me indicati siano acquistabili, o eventualmente confezionabili su misura, servendomi anche del fotorealismo per dare al cliente un’idea chiara e precisa del prodotto finito.
Spesso nei progetti tendo a inserire ove possibile qualche prodotto di design, perfetto per donare un tocco distintivo all’intera composizione; ciononostante non sempre è possibile farlo, tanto per esigenze estetiche quanto economiche, motivo per cui concentro i miei sforzi nel consigliare comunque arredi di qualità, evitando scelte troppo economiche o di scarsa fattura salvo che specifica richiesta del cliente.
Parliamo di interior design e scelta degli arredi. Come avvengono in genere queste scelte durante questa fase? Hai per caso uno stile o dei marchi su cui punti maggiormente per i tuoi lavori? In queste fasi che ruolo ha la collaborazione con il rivenditore di mobili?
Chi mi segue conosce bene il mio stile e il modo in cui mi muovo all’interno di un progetto. Quando ho a che fare con clienti indecisi o in disaccordo sulle mie scelte di design, cerco di stabilire con loro un dialogo, offrendo immagini e varianti fra cui scegliere così da trovare la soluzione più confacente. L’importante è creare un rapporto ambivalente e di scambio reciproci.
Durante la realizzazione di un progetto è inevitabile interfacciarsi con un gran numero di attori fra cui mobilieri, muratori, operai e altro ancora. In questi casi spesso la difficoltà consiste nel coordinare efficacemente il lavoro di ognuno e dare la giusta direzione agli sforzi di tutti quanti.
Trovo utilissimo e di fondamentale importanza l’apporto che un arredatore può dare al progetto. È una figura in grado di portare a compimento quanto si è pensato.
Gli showroom online sono comodi per reperire tante informazioni e visionare il panorama infinito delle scelte. Il designer arredatore che si occupa dello sviluppo lineare e della preventivazione precedente all’acquisto dell’arredo è insostituibile.
In base alla tua esperienza, quali pensi siano le attuali tendenze del settore dell’interior design? Sapresti individuare un gusto, un materiale, o in genere uno stile di questo particolare periodo storico?
Sempre più spesso mi capita di assistere a un mutamento nelle richieste ma soprattutto nello stile dei clienti con cui mi trovo a dialogare. La figura del cliente sprovveduto e priva di una qualsivoglia opinione sul progetto che si andrà a costruire con lui sta venendo via via soppiantato da una clientela assai più informata ed esigente, capace di presentare chiaramente il proprio gusto e personalità. Spesso si cercano i pezzi di design, segnale che i social e l’informazione stanno sempre più penetrando nella società come canale di informazione mondiale, dando cioè la possibilità a tutti di capire e capirsi molto più di prima.
Pensi quindi che i social abbiano un impatto positivo per quelli come te che lavorano nel settore del design? Non c’è il rischio che i canali comunicativi e i social media vi “rubino” il lavoro?
Penso che all’alba del 2020 e della diffusione mondiale di Internet, chiunque desideri informarsi e imparare qualcosa di nuovo possa farlo liberamente, qualunque sia il settore o la specificità delle competenze richieste. Ciò che manca in realtà è una prospettiva, o per meglio dire un filtro, capace di ordinare tutto questo materiale a seconda della funzione o della qualità desiderata. E questo penso sia compito dell’interior designer, dare cioè una giusta prospettiva, tarando a misura del cliente l’enorme quantità di informazioni con cui si ritroverà a dialogare.
Oggigiorno il cliente che viene da me è già mediamente informato, presenta già delle idee sue e in sostanza sa già distinguere ciò che gli piace da ciò che non fa al caso suo. È su di lui che si concentra il mio lavoro.
Da un punto di vista comunicativo, hai già in mente qualche novità per il tuo lavoro?
Al momento ho chiuso la progettazione per tutto il 2020. L’afflusso di richieste che ricevo al mese è incredibile, e volendo io occuparmene direttamente mi è ovviamente impossibile accettarle tutte senza rischiare di trasformare la mia passione in una sorta di “supermercato del design”. Il rapporto con il cliente nonché il mio coinvolgimento diretto in ogni fase di progettazione è infatti fondamentale per esprimermi al meglio e trarre davvero soddisfazione da ciò che faccio.
Dal punto di vista comunicativo ho in effetti in mente qualcosa, alcune idee molto chiare su prospettive e proposte future per cui non dovrete attendere molto a lungo: già in autunno potrà capitarvi di scoprire di cosa si tratta. Una cosa è certa: non bisogna mai fermarsi. In questo settore, così come in molti altri, arrivare prima ed essere pronti a cogliere le nuove opportunità è fondamentale per rimanere al passo con i tempi. Potrei dire che in parte mi dispiaccia, perché dedicarmi così tanto al mio lavoro mi rende spesso impossibile prendermi delle pause o concedermi delle vacanze, ma la realtà è che chiunque ami come me il suo lavoro, non sente mai per davvero la necessità di allontanarvisi più di tanto.