Gianni Pettena
Gianni Pettena (1940-), architetto e designer italiano, ha lasciato un contributo molto importante allo sviluppo del Design Radicale in Italia. Fine teorico, ha assunto particolare rilievo soprattutto per la sua attività critica e accademica che l’ha fatto assurgere al ruolo di aedo e interprete per eccellenza del Radical Design. Nativo di Bolzano, ha studiato architettura nel corso degli anni ’60 a Firenze, allora epicentro creativo di grandi fermenti intellettuali e sociali di cui anche lo stesso Pettana sarà protagonista, tanto da definirsi con un felice gioco di parole “anarchitetto” (così s’intitola uno dei suoi più celebri saggi, pubblicato nel 1973): nel corso della sua carriera la maggior parte dei suoi progetti non prenderà mai forma concreta, rimanendo per scelta al livello di installazioni o performance, a cavallo con il mondo dell’arte concettuale da lui tanto amato. Nemico dichiarato di ogni razionalismo modernista, Pettana è autore di anti-progetti per natura effimeri, spesso infusi di una pionieristica sensibilità ecologica e concentrati sul rapporto tra uomo natura. Risale invece agli anni da studente, prima della laurea nel 1968 la sua creazione più nota nell’ambito del design di prodotto, il divano scomponibile Rumble (1967, prodotto all’epoca da Gufram e riedito oggi da Poltronova). Nei primi anni ’70 fu protagonista di un lungo tour negli Stati Uniti per poi rientrare a Firenze per dedicarsi all’insegnamento. Dal 1973 al 1975 è stato uno degli animatori dell’esperienza di Global Tools, una sorta di “scuola di Design Radicale” che si proponeva di promuovere la creatività individuale e collettiva. Pettena ha poi ricoperto per molti anni, fino al 2008, il ruolo di professore di Storia dell’Architettura Contemporanea presso la Facoltà di Architettura di Firenze, insegnando anche negli anni ’80 per alcuni periodi alla Domus Academy di Milano e alla California State University negli Stati Uniti. Radicale fino in fondo, a differenza di molti suoi colleghi degli anni giovanili ha sempre rifiutato di trasferirsi a Milano a lavorare come designer per la grande industria.