Intervista a Duccio Grassi – retail design e genio creativo
L’architetto Duccio Grassi è uno dei grandi maestri del retail design in Italia. Marsilio ha da poco pubblicato un volume con un compendio di tutta la sua opera, che verrà presentato con un’esclusiva conferenza presso lo showroom Baxter Cinema del circuito Salvioni Milano. Abbiamo colto l’occasione per intervistarlo, continuando il nostro viaggio tra i protagonisti del design e dell’architettura contemporanea.
1 – Lei è stato uno dei pionieri del retail design. Quali sono i principi e le sfide di questa peculiare branca dell’architettura?
Il retail design ha degli obiettivi di comunicazione e di vendita.
Come é noto, deve interpretare e rappresentare i valori del brand ed essere contemporaneo, cioé anticipare le tendenze.
Deve creare un mood aspirazionale per il life style del target di riferimento, tradotto: deve costruire un ambiente corrispondente allo stile di vita immaginato o desiderato dalla fascia di consumatori/consumatrici che si vuole raggiungere.
Deve generare un ambiente accogliente che suggerisca un percorso e incuriosisca in modo da venire seguito quasi involontariamente, ma che sia anche funzionale alla vendita, ottimizzandone gli aspetti pratici: cassa, cabine, magazzino.
Sopratutto deve rispettare il budget.
Nei mercati piú evoluti, il calo della capacitá di attrazione dei brand e l’aumento delle vendite on line sta trasformando il punto vendita in un luogo esperienziale, cioé un luogo dove vivere l’esperienza del brand, senza necessariamente concludere un’acquisto, che puó essere poi eventualmente finalizzato on line.
Un aspetto importante del retail design su strada é il suo rapporto con la cittá.
Sia i committenti che i progettisti coinvolti nel retail design sono obbligati a riflettere sul fatto che le facciate dei negozi possano qualificare o squalificare le vie piú importanti dei centri urbani.
2 – In questa veste ha vissuto da protagonista i giorni rampanti dell’affermazione della moda italiana nel mondo. Che ricordo ha di quegli anni?
Quando ho iniziato a occuparmi di retail design nel 1983, forse solo Benetton e Stefanel avevano, nella moda, una distribuzione tramite punti vendita in franchising. In pochi anni si é verificata un’esplosione di marchi e di retail concept che ha cambiato il volto delle vie commerciali delle cittá italiane. Negli anni ottanta e novanta lavoravo a tempo pieno per il gruppo Max Mara con decine di nuove aperture all’anno. Nel 1990 é iniziata l’espansione fuori dall’Europa, in Giappone e in USA, poi sono venuti il Medio Oriente, la Russia e, dal 2000, la Cina. Spesso eravamo noi ad aprire una nuova strada per i marchi della moda italiana, in contesti culturali e ambientali lontani da quelli europei. Questo mi ha permesso l’esplorazione di luoghi e culture dall’interno, con annessa straordinaria opportunitá di nuove esperienze e ampliamento della conoscenza.
3 – Moda e design sono realmente universi del tutto separati come spesso li si dipinge, oppure esistono importanti punti di contatto?
Il mondo del Fashion e quello del retail design sono, com’é ovvio, strettamente connessi.
Entrambi soffrono di obsolescenza rapida, quindi di ansiosa quotidiana ricerca del nuovo e sono soggetti a cicli. Cosa che credo valga anche per il design industriale, ma con ritmi meno frenetici.
L’esperienza degli ultimi vent’anni mostra come la ricerca nel campo del retail design abbia portato a ricadute nel campo del design industriale, con un gap temporale piú o meno lungo.
4 – Che ruolo possono avere i grandi classici dell’arredo di design in un progetto di retail? Sono apprezzati o è preferibile l’utilizzo di arredi disegnati ad hoc in piena continuità con lo stile del marchio?
L’arredo di design ha un ruolo molto importante nel Fashion retail contemporaneo.
La sua presenza elimina o diminuisce sia l’effetto stucchevole del tutto coordinato, che l’ufficialitá dell’ambientazione favorendo la percezione di una dimensione piú domestica e amichevole, anche se lussuosa.
5 – C’è, fra tutti i grandi progetti di cui si è occupato, uno di cui va particolarmente fiero?
L’edificio che ho disegnato per Max Mara nel 2001 su West Broadway a New York é stato scelto, fotografato e pubblicato, a mia insaputa, su Architectural Record, una delle riviste di architettura piú prestigiose al mondo. Il mio progetto era stato scelto, insieme ad Hermés Tokyo di Renzo Piano e Apple Soho di Bohlin, Cywinski, Jackson, come significativo di “stores that improve the urban environment”.
6 – Quale grande architetto del passato considererebbe la sua principale fonte di ispirazione?
Ludwig Mies van den Rohe
7 – Ha mai avuto occasione di realizzare progetti nell’ambito dell’interior design residenziale? Esistono, a suo giudizio, grandi paralleli tra questa disciplina e il retail design, oppure si tratta di ambiti profondamente diversi? E quali insegnamenti possono dare l’uno all’altro?
Come in parte ho giá detto, un progetto di retail si puó considerare riuscito se comunica i valori del marchio, aumenta le vendite e migliora, o almeno non peggiora, l’environment in cui é inserito.
Un progetto di interior residenziale ha invece come obiettivo il benessere in senso esteso di chi ne usufruirá, quindi funzionalitá, comfort, rispondenza ai propri codici estetici e culturali, soddisfazione dell’autostima. Tutti i progetti hanno bisogno che il committente svolga attivamente la propria funzione, ma, secondo la mia esperienza, questo é particolarmente vero per i progetti di interior residenziale. Il progettista deve pazientemente ed in modo propositivo indurre il committente a trovare e esprimere la sua idea di abitare.
8 – Ora Marsilio riunisce in un volume tutte le sue realizzazioni più importanti. Può dirci qualcosa di più su questa operazione editoriale?
Questo volume raccoglie buona parte dei miei progetti piú significativi degli ultimi 18 anni.
Non considero questo libro un regesto, ma un momento di riflessione, anche critico, sull’attivitá dello studio.